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la Volpe

23.12.2014 15:17

      

 

                                                                              

                                                              

                                                                                          TUTTO NATURA
   
                                                                RUBRICA DI NATURA, ECOLOGIA, ETOLOGIA

                                                                                            LA VOLPE
                                                                                            


Uno dei miei siti preferiti di studio ed osservazione della Natura si trova non lontano dal Canale MUZZA , tra le province di Milano e Lodi.
In questo luogo ritrovo un contatto intimo con i fenomeni naturali che tanto mi appassionano ed in più, quando mi rendo conto di poter raccogliere e gustare porcini ed ovoli a non più di  20 Km dalla Piazza Duomo di Milano, mi  dico che non tutto è perduto …………..sino alla prossima lottizzazione!!
In questo piccolo paradiso  ho potuto osservare, sia pure per pochi momenti, uno spaccato di vita selvatica che presumo non possa essere vissuto da molti: due cuccioli di volpe mi guardavano dall’imboccatura della tana, non so se più impauriti od incuriositi da questo strano animale vestito di verde con barba, baffi e macchina fotografica.
Mi piace pensare che fossero più incuriositi che spaventati, ma che l’istinto di sopravvivenza abbia loro intimato , dopo i primi attimi di sorpresa, di rifugiarsi prudentemente nel profondo della tana. Certo che per  me l’emozione è  stata grande, soprattutto  perché non mi aspettavo un incontro del genere, in quanto  quelle tane le avevo ormai classificate come tane di tasso, quali in effetti  erano, e quindi assolutamente prive di sorprese durante le ore diurne. Infatti l’esecutore delle stesse è notoriamente un animale crepuscolare e notturno  quindi  non visibile di giorno. Invece la Natura mi fece questo regalo ed in seguito approfondendo lo studio  di questo CANIDE (Vulpes vulpes) venni a conoscenza del fatto che la Volpe , pur essendo in grado di costruirsi da sé le proprie tane, non disdegna quelle già fatte sia dei tassi, sia quelle anguste dei conigli selvatici che provvede ad allargare adattandole  alla propria taglia.
Ma le sorprese, quel giorno, non finirono lì.
Poco più avanti incontrai un esemplare adulto, presumibilmente la madre di quei cuccioli che riuscii anche a fotografare.
Anch’essa si fermò solo un attimo a studiarmi, oppure si mise in posa, ancora non lo so; in ogni caso ripeto che le emozioni , quel giorno, furono  tantissime e forse irripetibili.

Animale di grande adattabilità, di abitudini alimentari  onnivore  nel vero senso del termine in quanto , pur preferendo  la dieta carnivora del predatore, riesce comunque a sopravvivere nutrendosi di bacche, frutti selvatici e carogne animali oltre che di insetti quali cavallette e coleotteri e relative larve, uova di uccello, rettili  quali serpenti e lucertole, frutta e .insomma di tutto!
Le associazioni venatorie vedono nella volpe un forte competitore quale predatore di nidiacei, di fagiani e quaglie, conigli e lepri .
I contadini  le odiano per le razzie nei pollai. I servizi di tutela veterinaria la tengono d’occhio in quanto portatrice della rabbia silvestre, malattia mortale per tutti gli animali eventualmente infettati.
Insomma, un perseguitato speciale, che però nonostante tutte queste non gradite attenzioni , prospera su tutto il nostro territorio anche nelle zone  più antropizzate  dove fino a  15 o 20 anni orsono nessuno si sarebbe mai sognato di vederle.
Quest’ultima constatazione mi fa pensare ad un altro animale opportunista: la cornacchia grigia 
, anch’essa vituperata e cacciata, ma in espansione ed anch’essa onnivora ed adattabile ad ogni situazione: che sia questo il segreto del successo?
Risparmio al lettore la descrizione morfologica del ns. soggetto, rimandandolo a ben più qualificate pubblicazioni, ma citerò solo alcune caratteristiche peculiari e magari poco citate: la volpe non ringhia come un cane, ma se messa alle strette o impaurita mostra i denti e soffia come un gatto (l’ho sperimentato personalmente), le impronte che lascia nel fango o sulla neve possono essere confuse con quelle di un piccolo cane, ma se si guardano con attenzione ci si accorgerà che sono più allungate e che le zampe anteriori  mostrano l’impronta di solo quattro dita anziché cinque. Questo non perché sia mancante il quinto dito, ma perché lo stesso è attaccato molto alto rispetto agli altri.
La coda è  molto grande rispetto al corpo, in quanto serve da bilanciere nei salti  di predazione e nei repentini cambi di  direzione ed infine le vibrisse ( i baffi) sono molto sviluppate ed assomigliano, nella funzione, assai più a quelle di un felino che a quelle di un canide, ovvero danno equilibrio durante un passaggio difficile, ad esempio su un tronco caduto tra le due rive di un ruscello oppure aiutano  a localizzare una preda in  movimento sotto la neve.
Insomma un grande vero opportunista che non smentisce mai la fama di incarnazione stessa della furbizia messa al servizio della propria sopravvivenza.
Tale caratteristica, in questo animale  è decisamente un pregio , mentre alcuni  umani  che ne vogliono  emulare il comportamento la trasformano in un terribile difetto.

 

 

al centro dell'immagine un piccolo di volpe guarda tra i rovi

la presunta madre del piccolo





                                   
 

I movimenti delle piante

20.12.2014 12:09

 
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                                RUBRICA DI NATURA – ECOLOGIA – ETOLOGIA

 

                                             I  MOVIMENTI DELLE PIANTE

 

Guarda quella quercia: bella, enorme, maestosa, avrà almeno quattrocento anni e per tutto questo tempo è rimasta lì, immobile e statuaria testimone del tempo che scorre. E’ vero!
A prima vista questa affermazione sembra ineccepibile; chi oserebbe scommettere che la stessa si sia mai spostata dal punto “A” , identificabile con coordinate geodetiche, dove il  seme dal quale ha tratto origine è caduto od è stato  piantato?
Ma come mai allora quella “piccola” quercia di cinquant’anni, distante 7 Km dal punto “A” presenta lo stesso codice genetico della grande quercia?
Semplice! Una ghiandaia, grazioso uccello della famiglia dei corvidi, anni fa, ha nascosto per l’inverno alcune ghiande, ovvero i frutti della grande quercia, proprio in quel punto, poi, forse per un infortunio occorsole o forse per dimenticanza, il seme non è stato ritrovato e inghiottito ed allora, nelle adatte condizioni climatiche ed ambientali, è germinato  dando origine alla quercia figlia.
Ci  si chiederà a questo punto che fine hanno fatto tutti gli altri semi che, a migliaia, la pianta madre ha prodotto nel corso dei secoli: semplice, non hanno  germinato, sono morti e sono stati riciclati come sostanza nutritiva da funghi e batteri, oltre che essere finiti negli stomaci, mai sazi, di cinghiali e maiali, ed in tempi meno prodighi dei nostri, anche sulla mensa di esseri umani.
Inoltre la pianta madre, comportandosi da matrigna, con la propria ombra, impedisce di germogliare  ai semi semplicemente caduti ai suoi piedi; anzi, con una sorta di cannibalismo incruento, ricicla le sostanze nutritive derivate dallo sfacelo organico dei propri semi.
Questo preambolo è servito ad introdurre il concetto che le piante, come tutti gli esseri viventi, sono costrette a “muoversi” per ricercare il luogo adatto alla riproduzione e continuazione della propria specie.
Certo il movimento inteso alla maniera umana, per nulla si addice alle piante, le quali infatti adottano movimenti lentissimi , impercettibili ai nostri sensi, per spostarsi da un punto all’altro.
Infatti nessuno ha mai sorpreso un tralcio di vite fare balzi felini, ma osservando lo stesso tralcio a distanza di una settimana si noterà che questo è avanzato anche di 50 cm nel periodo di maggiore sviluppo vegetativo, aggrappandosi con i pampini ai supporti artificiali predisposti dal contadino od in mancanza di questi ad ogni altro appiglio, cercato con accanimento, pena la probabile mancanza di sviluppo dei grappoli, quindi dei propri semi e di conseguenza della perpetuazione della propria specie.
Gli esempi sono tantissimi e tutti sotto i nostri occhi.
L’edera che avvolge i tronchi e si arrampica sui muri cercando continuamente la migliore esposizione al sole (fototropismo), il luppolo, il fagiolo, il glicine , tutti accomunati nello sforzo per il raggiungimento del risultato finale. Molte piante sono , come abbiamo già visto, aiutate dagli animali: uccelli, insetti, ma anche mammiferi che inconsciamente trasportano nella loro pelliccia ad esempio i semi spinosi di bardana, espulsi quando l’animale si gratta e tenta di liberarsi dal loro fastidio oppure semi di piante eduli ingeriti ed espulsi con le feci, che, tra le altre cose, rendono fertile il terreno attorno al seme stesso il quale si trova così avvantaggiato rispetto al seme trasportato ad esempio dal vento o da un corso d’acqua.
Un argomento tanto vasto non può certo essere considerato completamente descritto in queste poche righe, ma sono certo che a questo punto il lettore saprà trovare da sé degli esempi significativi di movimento vegetale, autoindotto o prodotto da agenti esterni ed avrà anche capito che il fine ultimo , anche se alle volte risulta poco palese, è sempre lo stesso: la continuazione della specie.

Ghiande immature di Quercia

                                            Pampino secco di Vite



 



             
 
        

                                               

 
                                      
 
 
                                              

                                    

La Vipera aspide

20.12.2014 12:07
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                                                                   LA VIPERA ASPIDE
           

Anche se non è il solo rappresentante dei viperidi nostrani, la vipera aspide ( Vipera aspis), più comunemente chiamata soltanto “vipera”, ben rappresenta tutte le specie di vipera del nostro territorio.
Cominciamo con lo sfatare un luogo comune dei più sbagliati: l’aspide di Cleopatra non è affatto la vipera nostrana di cui ci accingiamo a raccontare, ma un pericoloso cobra egiziano (Naja haje), lungo fino a 180 cm, quindi le iconografie che rappresentano Cleopatra con un serpentello lungo al massimo 50 cm, uscente da un cesto di fichi, potranno anche essere dei capolavori, ma dal punto di vista scientifico non hanno fondamento alcuno.
Ciò premesso, cominciamo con il dire che questo rettile, come del resto la gran parte di essi, rifugge l’uomo e gli ambienti troppo antropizzati,( per fortuna!) altrimenti potremmo trovarcela anche sotto casa, in quanto le prede preferite sono i piccoli roditori come ad esempio i topolini domestici. L’aspide però preferisce gli ambienti boscosi, con molti anfratti e cavità dove potersi nascondere, preparare agguati e riprodursi con meno fastidi possibili. Questo tipo di comportamento sembra comune a molte specie potenzialmente pericolose ovvero dotate di mezzi di offesa  molto evoluti ed efficaci come il veleno iniettabile proprio dei serpenti velenosi, quasi a voler proteggere le altre specie da incontri fortuiti,  ma in realtà è per proteggere la propria specie, in quanto  troppi attacchi con relativi morsi e perdite conseguenti di veleno, portano rapidamente il nostro soggetto alla totale innocuità ovvero all’incapacità di procurarsi il cibo e quindi  alla morte certa.
Alcuni tratti somatici: testa larga e appuntita con muso rivolto  verso l’alto, corpo massiccio e coda corta, lunghezza attorno agli 80 cm.Gli occhi presentano una pupilla verticale a losanga, tipica delle specie attive anche di notte(come ad esempio il gatto).
Le squame, per niente viscide come molti credono, sono lisce e lucenti sul capo, ma carenate sul dorso, dando così un aspetto opaco e rugoso a questo rettile.
Il colore è molto variabile dal bruno al grigio , ma sempre con macchie appuntite che, quando il corpo del rettile è retratto, sembrano formare  un disegno a ZIG ZAG, proprio come quello stilizzato che disegnano i bambini quando rappresentano un serpente!
L’attività dell’aspide dipende dalla  temperatura ambiente ed essendo, come tutti i rettili, un animale a sangue freddo, riduce tale attività fino al letargo quando fa molto freddo, come nel tardo autunno ed in inverno, ritirandosi  in buche da solo o in compagnia di altri individui.
Tale comportamento permette di innalzare la temperatura del “mucchio” di 1 o 2  °C e quindi di resistere meglio ai rigori invernali: ma allora è proprio vero che l’unione fa la forza!
I primi ad uscire dalla tana invernale sono i maschi che dopo un periodo di termoregolazione si mettono subito in cerca di femmine , che sembrano decisamente in numero inferiore ai maschi, in quanto sono letteralmente assediate da pretendenti “focosi” che ingaggiano incruente lotte a colpi di mosse intimidatorie tipo l’erezione del corpo a forma di S e l’attorcigliarsi reciprocamente il collo spingendo e tirando fino a che uno dei due non cede e viene messo a terra. Tutto qui, nessuno tenta mai di mordere l’altro, basta il gesto!
Durante il corteggiamento il maschio si dimostra particolarmente appassionato facendo vibrare il proprio corpo , mentre si avvicina alla femmina, poi la sfiora gentilmente con il capo lungo tutto il corpo, quasi carezzandola ed infine stendendocisi sopra, cerca di arrotolare la propria coda con quella della partner, cercando di introdurre uno dei due organi copulatori (emipene) nel genitale della femmina.
Se invece la femmina fugge perché non gradisce quel compagno, ebbene questi dimostra una tenacia difficilmente riscontrabile in altri animali, inseguendola per ore fino a che non la prende per sfinimento nel vero senso della parola!
Il nome scientifico Vipera aspis, significa  letteralmente “ serpente che partorisce  prole vivente”, ed in effetti verso l’inizio dell’estate , trovato un luogo tranquillo e con la giusta esposizione, non di rado i rami di un arbusto come mi è personalmente capitato di vedere e di venir sfiorato dal grappolo di viperini, già con il veleno attivo, che cadevano  dal ramo reso instabile dal mio passaggio, la femmina partorisce  piccoli vivi, adulti in miniatura che si mettono subito a caccia di piccoli rettili, insetti e lombrichi. L’apparato velenifero dei viperidi, quindi anche dei crotali americani, è il più perfezionato tra quello dei serpenti velenosi  poiché  i due denti preposti a tale compito sono veri e propri aghi da  iniezione, erettili e cavi all’interno  e collegati alle grosse ghiandole velenifere.
L’attacco e le iniezioni durano una frazione di secondo ed in questo brevissimo lasso di tempo il serpente riesce anche a recepire l’odore specifico della preda, tramite la lingua e quindi a ritrovarla nel buio più completo, dopo che il veleno ha agito con esiti letali sulla preda di turno.
Dal punto di vista strettamente  scientifico, il veleno è soltanto saliva modificata in modo da predigerire la preda, quindi  la morte della stessa si può considerare un effetto “secondario”, in quanto la funzione digestiva permette al serpente di ingoiare intera la vittima e di metabolizzarla anche in diversi giorni senza che le tossine della decomposizione inneschino pericolosi fenomeni di putrefazione.
L’Aspide quindi e con essa tutti i serpenti, senza zampe, senza artigli, senza apparato masticatorio e senza orecchie, dimostrano di cavarsela egregiamente nella lotta per la sopravvivenza visto che il loro numero, nonostante le cacce fatte dall’uomo e dai loro nemici naturali  come i ricci e i cinghiali alle nostre latitudini, non accenna a diminuire.
Terminiamo col dire che il morso dell’aspide per un uomo adulto  ed in salute, provoca al  massimo un grande dolore localizzato ,con effetti  locali impressionanti, ma che, se ben curati non lasciano conseguenze. Il discorso cambia se la vittima del morso è un bambino o un cane; in questi casi il rapporto  quantità di veleno/peso corporeo è molto elevato ed il rischio di morte è di conseguenza  maggiore.
Dunque  durante le nostre passeggiate: prudenza e rispetto!
Noi siamo gli ospiti e loro i padroni di casa , non viceversa.
Vipera aspis che punta il fotografo!

 

                                                    Vipera aspis in trasferimento su un banco di sabbia




                               

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